Volendola descrivere come fosse un buon vino, Marta Poli sarebbe sicuramente il frutto di una pregiata bacca bianca dotata di freschezza, aroma intenso con sentori variegati di frutta e fiori. Un Mirabella Franciacorta, per essere più precisi, uno dei vini della cantina in cui Marta si occupa della crescita e dello sviluppo del business e delle esportazioni. In azienda, lei costruisce le relazioni con i nuovi clienti, gli importatori e i distributori all’estero. Per incontrarla basta girare il mondo, partecipando alle fiere internazionali di settore.
Abbiamo incontrato Marta e con lei abbiamo scambiato due chiacchiere parlando di vino, settore vitivinicolo in Italia e all’estero, Made in Italy e curiosità legate al suo lavoro.
Ciao Marta, raccontaci un po’di te.
Nata a Brescia, 30 anni da poco compiuti, mi laureo in Lettere Classiche con una tesi in Filologia Greca, a Verona. Durante il mio percorso di studi, mi avvicino al mondo del giornalismo amatoriale tramite il giornale universitario; scrivo su Bobos.it occupandomi per lo più di food&wine; collaboro con un’associazione culturale che organizza eventi, concerti e mostre; lavoro per un’agenzia di comunicazione, tra una lezione e l’altra. Un percorso abbastanza eterogeneo che mi ha permesso di toccare con mano realtà molto diverse tra loro, sempre nell’ambito della comunicazione.
Come nasce la tua passione per il vino?
Nasce in modo leggero e spontaneo. A un certo punto, il semplice piacere nel degustare un calice si trasforma in qualcosa di più: voler sapere tutto quello che c’è dietro quel bicchiere. Decido di seguire il corso AIS e divento Sommelier. Ancor prima di laurearmi, capisco che il mondo del vino mi avrebbe aperto molte e più interessanti strade di un percorso accademico o nell’ambito dell’insegnamento. Bacco è la mia vocazione: ne ero certa, senza sapere ancora bene cosa avrei potuto fare con lui.
Quali altri esperienze di settore, oltre a Mirabella Franciacorta, hai vissuto nel tuo percorso formativo?
La mia prima esperienza nel settore vino è stata in una piccola cantina produttrice di Lugana, dove mi occupavo di hospitality ed eventi. Un inizio solo apparentemente lontano dal mio attuale ruolo: la buona comunicazione resta alla base di qualsiasi rapporto commerciale e di business. Conoscere il vino, saperne parlare, saperlo comunicare, trasmettere la passione per un mondo che non è solo “prodotto da vendere”: tutto questo per me è fondamentale, nonché ingrediente base del mio stile e del mio lavoro.
Un tuo segno distintivo in azienda?
Sono una “rompi scatole”, nel senso buono del termine. In un settore ancora molto maschile e talvolta maschilista, per avere successo e guadagnarsi stima, una donna deve fare molta più fatica, deve sempre dimostrare qualcosa in più. Questo si traduce talvolta nell’essere più “dure” di quanto non si sia.
Ci parli della cantina Mirabella Franciacorta e dei suoi vini?
Mirabella nasce nel 1979 dall’idea di un gruppo di professionisti bresciani appassionati di viticoltura ed enologia; è stata tra le prime realtà di Franciacorta a credere nella tipicità del proprio territorio e nella potenzialità di un marchio, il “Franciacorta”, che sempre di più si sta consolidando come simbolo del made in Italy nel mondo. Oggi l’azienda conta 56 ettari di vigneto, tutti iscritti all’albo della Docg Franciacorta, che posano su terreni morenici di medio impasto, freschi e asciutti, distribuiti nella zona centro-orientale del territorio di produzione.
Nel corso degli anni, Mirabella ha sempre dedicato grande attenzione e risorse alla tutela e alla valorizzazione del territorio e del Franciacorta, a partire dalla gestione biologica dei vigneti fino ad arrivare, nel 2012, all’utilizzo del 100% di energia da fonti rinnovabili (Certificazione Cofer 2012/06/1403281). Il percorso di continua riduzione di conservanti e allergeni nei vini è culminato con la recente nascita di Elite, primo Franciacorta senza allergeni e solfiti aggiunti, che riesce a mantenere sotto il livello di dichiarazione anche quelli prodotti naturalmente dal vino, nel totale rispetto della natura e del consumatore.
Il vostro vino è contrassegnato dal marchio DOCG: cosa significa per la vostra produzione e quali benefici vi dà questo marchio?
La DOCG in Franciacorta arriva nel 1995: siamo stati il primo brut italiano a ottenere il riconoscimento di garanzia. A partire dal 1997, vengono vendute le prime bottiglie di Franciacorta con la fascetta di Stato DOCG.
DOCG e Consorzio (che nasce già nel 1990) hanno lo scopo di garantire e controllare il rispetto della disciplina di produzione del Franciacorta, una sola espressione in grado di definire un territorio, un metodo di produzione e un vino. Un riconoscimento di garanzia che significa essenzialmente riconoscimento di alta qualità.
Spesso si pensa che, per lavorare in una cantina vitivinicola, bisogna essere un esperto in agricoltura o chimica. Cosa, invece, vuol dire lavorare per un’azienda del settore come esperto in marketing e comunicazione?
Il mondo del vino, oggi più che mai, rappresenta un settore in continua crescita ed evoluzione. Il vino si fa, si comunica, si vende. Certo, non tutte le aziende sono strutturate internamente in ambito marketing: ciò dipende da dimensioni, competenze, organico, obiettivi e possibilità. Allo stesso tempo, la fluidità delle nuove piattaforme, anche social, hanno fornito strumenti alla portata di molti e sempre più aziende si organizzano in questo senso, affidando anche la gestione a PR o agenzie esterne.
Nel mio caso, essendomi occupata di comunicazione in passato, è stato molto naturale portare avanti certi segmenti in azienda, che siano la pagina Facebook o l’account Instagram, il rapporto con le guide o con i giornalisti. Diciamo che questa versatilità è anche un po’ il bello di questo settore, soprattutto se parliamo di aziende medio piccole come Mirabella, dove il profilo “multitasking” è una caratteristica estremamente appetibile. Certo: non ti puoi inventare niente, nulla deve essere lasciato al caso o all’improvvisazione.
Quali differenze noti tra il mercato estero e quello italiano nella promozione e comunicazione del vino?
Le dinamiche sono estremamente differenziate e non è possibile fare un’analisi globale. Voglio dire: quello che succede in Cina non è quello che succede negli USA o in Giappone o in qualsiasi altro angolo di mondo. Questo perché è la cultura e la conoscenza del vino a essere molto eterogenea. Ci sono zone in cui è ancora necessario fare “didattica”. Un ambito estremamente affascinante è quello del labelling: linee ancora molto tradizionali in Italia, Francia, Spagna (un po’ di meno) e Germania, completamente diverse dal design di Sud Africa, Nuova Zelanda, Australia, California. Già osservando una bottiglia si possono capire tante cose rispetto a quello che si intende comunicare e proporre.
Una cantina emergente cosa dovrebbe fare per potersi inserire in un mercato molto competitivo come questo e riuscire a distinguersi?
Anche questo è un altro di quei discorsi che richiederebbe giorni per essere affrontato. Ormai si produce vino in ogni angolo di mondo e l’idea generale è quella del “c’è spazio per tutti”: ci sono le grandi multinazionali, ci sono i piccoli produttori di vini naturali, ci sono vini buoni e vini meno buoni, vini in lattina, vini da collezionisti. Diciamo che la ricetta migliore, oggi, è molto semplice: qualità, ecosostenibilità, rispetto per l’ambiente e il consumatore, buon rapporto qualità/prezzo e qualche peculiarità da comunicare bene, che sia una storia pazza sulla cantina o un vitigno autoctono. Ecco: poter raccontare una storia, la propria storia, è sempre qualcosa di molto importante.
L’Italia all’estero è diventata un brand che, se utilizzato bene, funziona e va sempre molto forte, in ogni settore. È un marchio che rappresenta cultura, bellezza e qualità, che affascina e a volte viene un po’ abusato. Tu come vedi il brand “Made in Italy” nel settore vitivinicolo, sia nel nostro paese che all’estero?
Dico solo che nel 2017 l’Italia si è affermata ancora una volta come primo produttore di vino a livello mondiale. La nostra tradizione enologica, le nostre peculiarità territoriali, la nostra passione, la nostra genialità sono qualcosa che difficilmente altri potranno mai eguagliare o copiare. Naturalmente ci sono anche molti aspetti critici: per questa occasione, però, concediamoci un break dalle criticità.
Ci puoi raccontare un’esperienza che hai visto o vissuto all’estero, parlando delle eccellenze enologiche del tuo paese?
Diciamo che questo è proprio il mio lavoro: ogni viaggio, ogni tasting, ogni nuovo incontro sono sempre momenti di grande crescita per me, per i vini che rappresento e il territorio in cui vengono prodotti. Parlare di Franciacorta nel mondo è ancora una sfida aperta, la percezione del marchio non è così alta come in Italia: proprio per questo motivo, però, è una bellissima sfida che ogni giorno ci fa raggiungere un traguardo in più.
I luoghi comuni sul settore del vino di alta gamma, a volte, fanno pensare a realtà di business e target esclusivi ed elitari. Tu cosa ne pensi?
Penso che il consumatore medio stia diventando sempre più accorto e attento. Vuole conoscere cosa c’è dentro e dietro la bottiglia che acquista. Si informa. Sempre di più, è alla ricerca di prodotti validi con un buon rapporto qualità/prezzo. I grandi marchi esercitano ancora un forte appeal, ma il mercato e la richiesta sono sempre più diversificati.
Oltre alle competenze e alla passione, quali altri caratteristiche dovrebbe avere – sia manageriali che di produzione – chi vuole avviare un’attività vitivinicola, anche considerando il massivo utilizzo degli strumenti di comunicazione?
Oggi, nel settore vino così come in tanti altri settori, non stare al passo dei mezzi di comunicazione e promozione dominanti può far perdere molte occasioni e possibilità. Non è l’unica cosa da fare o la più importante in assoluto per avere successo, ma un’azienda moderna e dinamica non si può dimenticare di questi segmenti o non volerli accettare come parte integrante della propria auto rappresentazione. Allo stesso tempo, un uso scorretto di questi mezzi può provocare più danni che benefici. Quindi: competenza e consapevolezza restano le parole guida.
Un luogo che consiglieresti di visitare e un prodotto (anche non per forza un vino) che ami particolarmente?
Mi sto appassionando ai vini del Carso triestino: un’area geografica aspra e unica, culla di vitigni autoctoni straordinari come la vitovska, la malvasia istriana o il terrano.