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La lettura di questo libro è rivolta agli amanti della buona tavola e a coloro che vogliono conoscere i valori portanti del sistema alimentare attraverso la consapevolezza della “cultura del cibo”.
Un impegno alla comprensione profonda di attività quotidiane come la produzione e il consumo di cibi e pietanze, svolte con quella naturalezza che deriva dalla nostra formazione culturale.

Massimo Montanari, autore del libro “Il Cibo come Cultura”
Il cibo esprime la cultura di un popolo
Massimo Montanari, nel suo libro, ci racconta in un processo ordinato di eventi storici, mettendo al centro la cultura che l’uomo stesso costruisce e gestisce.
Il cibo è cultura quando si produce, si crea, si prepara, si trasforma, si consuma e quando si sceglie.
Quando si produce, perché l’uomo ambisce a creare il proprio cibo; il cibo è cultura quando si prepara, perché – una volta acquisiti i prodotti base della sua alimentazione – l’uomo li trasforma mediante la sua tecnologia; il cibo è cultura quando si consuma, perché l’uomo lo sceglie con criteri legati sia alla dimensione nutrizionale, sia a valori “simbolici”: l’uomo è l’unico animale in natura che non consuma il cibo come gli si presenta davanti in natura, ma – al contrario – lo modifica, lo trasforma a seconda delle sue esigenze, delle sue preferenze, della sua identità.
Un piatto di spaghetti al pomodoro non è solo un cibo, ma è il simbolo dell’identità culturale di un paese. È l’unione tra la tecnologia produttiva di un alimento nata nella Sicilia Araba unita a un prodotto americano importato in Europa dai conquistatori spagnoli.
Il libro ci racconta
Inizialmente, l’autore elabora una considerazione globale del cibo come strumento per esprimere e comunicare la propria cultura: da qui nascono le prime tre sezioni delle quattro in cui il libro si compone.
Nella prima parte, dal titolo “Costruire il proprio cibo“, l’autore contrappone natura e cultura, analizza l’intervento dell’uomo sulla natura e i conflitti per il controllo delle risorse, all’interno delle comunità e fra comunità differenti.
Nella seconda sezione è descritta “l’invenzione della cucina”, che annovera la preparazione del cibo e la cucina è quindi la naturale protagonista, con una serie di aneddoti storici su cucina scritta e orale, sulle differenze tra arrosto e bollito (in cui giocano ruoli contrapposti, sul piano simbolico), sulle pratiche culinarie che rendono migliori i cibi sia nel gusto che nella sicurezza alimentare.
La terza parte, dal titolo “Il piacere (e il dovere) della scelta“, chiude questo triplice aspetto del cibo come frutto della nostra identità e ci introduce alla quarta e ultima sezione, dedicata al “Cibo linguaggio identità”: qui l’autore ci parla di come la tavola può diventare luogo di scambio culturale, frutto dell’incontro e dello scambio di uomini, materie prime e tecniche. Una riflessione profonda rivolta alla complicità fra cucina e dietetica.
Parallelo tra cultura gastronomica e grammatica
Interessante, poi, è il parallelo tra la cultura gastronomica e la grammatica, dove abbiamo i morfemi (ingredienti e prodotti), la morfologia (modi di trattarli), la sintassi (il pasto che dà senso ai primi due) e persino la retorica («il modo in cui viene allestito, servito e consumato» il cibo).
Tutto questo e molto altro si trova in un libro che si rivela divertente, secondo il consueto stile dell’autore, ma altrettanto serio e perfettamente documentato, con tanto di guida alla lettura conclusiva, in cui si trovano numerosi spunti di approfondimento.
Un saggio utile, quindi, che ci permette di conoscere aspetti interessanti della storia della gastronomia, ma soprattutto di comprendere meglio alcune delle abitudini, anche culturali, di noi stessi, parte di quella specie che Montanari chiama homo edens.