Quando parliamo di cibo, rivolgiamo i nostri pensieri al passato, al presente e al futuro che ci aspetta. La storia ci insegna che il cibo non è solo nutrimento per la mera sopravvivenza ma anche potere, lotta e affermazione. Basti pensare alle sofferenze delle popolazioni più povere e allo sfarzo in cui quelle più ricche hanno vissuto, nel corso dei secoli, generando il più delle volte spreco di cibo e risorse.
Il nutrimento come atto naturale inizia con l’allattamento: è da qui che inizia la complessa relazione tra donna e cibo. La mamma che nutre il figlio, che cucina per la famiglia, che partecipa ai digiuni cristiani e che lavora nei campi e a casa.
Nel tempo la donna è stata considerata in tanti modi diversi: madre, moglie, santa, strega, guaritrice, assassina, seduttrice ecc. Una relazione, quella fra le donne e il cibo, che a tutti pare scontata e che invece è stata – ed è ancora – molto più significativa e complessa di quello che si pensa.
Per comprendere meglio il ruolo della donna nel rapporto con il cibo, abbiamo intervistato Maria Giuseppina Muzzarelli, professoressa ordinaria di Storia Medievale presso il Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna. La professoressa Muzzarelli è l’autrice del libro “Nelle mani delle donne. Nutrire, guarire, avvelenare dal Medioevo a oggi”, in cui ricostruisce la complessa relazione tra le donne e i cibi, partendo dal Medioevo e arrivando ai nostri giorni.

Prof. Maria Giuseppina Muzzarelli
Benvenuta su ItalianFoodExeperience, Professoressa Muzzarelli. Come è nata l’idea di scrivere il libro “Nelle mani delle donne. Nutrire, guarire, avvelenare dal Medioevo a oggi”?
L’idea è nata dal desiderio di superare l’idea che la cucina è stato e continua ad essere un luogo di segregazione delle donne. Le donne in cucina hanno saputo curare, nutrire, aggiustare relazioni. Si sono valse degli strumenti e dei saperi legati al cibo per agire.
Ma l’idea è stata anche sollecitata dall’uscita, nel 1987, del libro di Clara Sereni “Casalinghitudine”che ha contribuito a riconciliare le donne della mia generazione (quella dei baby boomers) con lo stare in cucina: per gli amici, per sperimentare, per amore del proprio piccolo, per scelta e non per condanna.
Così ho cominciato a intrecciare argomenti storici come il farsi cibo per i propri nati o il tentativo di fare andare meglio le cose (o peggio) agendo sui cibi con alcuni temi dell’oggi. Ancora oggi l’anoressia si collega alla volontà femminile di affermare un proprio progetto agendo sul corpo, affamandolo. È una storia che affonda le sue radici nell’epoca medievale: basti pensare a Caterina da Siena, severissima digiunatrice , grande madre italiana pur non essendo mai stata madre.
Molte donne continuano a cucinare per dovere anche oggi e i grandi cuochi hanno spesso a casa una donna che cucina per loro e per l’intera famiglia. Quando cucinare prepara una ineffabile carriera, allora si fanno avanti gli uomini ma nella quotidianità non mi pare che ci sia suddivisione equa di questo e di altri compiti.
Certo, oggi anche le donne lavorano (hanno sempre lavorato ma un lavoro poco riconosciuto pubblicamente in qualità di “socie non pagate”) e questo ha necessariamente coinvolto di più gli uomini e/o abbassato il livello dei cibi quotidiani. Intervengono i surgelati e così si va avanti. Più si è costretti a vicariare più si scrivono libri e si fanno trasmissioni che parlano di cibi che ben difficilmente le donne potranno riprodurre. È in atto un paradosso: la sopravvalutazione dei cibi in un’epoca che non offre la possibilità di prendersi cura della cucina e di procurarsi cibi buoni e di sapore.
L’8 marzo è alle porte, una giornata dedicata esclusivamente alle donne di cui, però, spesso si dimentica il vero significato. Per quella giornata, quale conquista femminile le piace ricordare?
Mi piace ricordare che sono circa 150 anni che le donne sono ammesse in tutte le scuole e Università: poco, pochissimo tempo. Eppure, già nel Medioevo, fra Tre e Quattrocento, una donna, Christine de Pizan (Cristina da Pizzano perché Pizzano è in Italia, nel Bolognese) aveva scritto che se si istruissero le donne come si fa con gli uomini si otterrebbero gli stessi risultati. L’ha scritto in un libro che si intitola “La città delle dame”. Eppure, ancora nel 1870 fu respinta la proposta di accesso da parte delle donne alle scuole secondarie e alle Università.
Nel suo libro, il cibo è strettamente correlato con la figura femminile. Oggi, numericamente parlando, ci sono più chef uomini che donne. Qual è stata la chiave di volta che ha mutato questa conversione di sessi in cucina?
Non vi è stata conversione di sessi in cucina o almeno non mi pare. Quando cucinare è un atto pubblico o un mestiere che fa guadagnare denaro o fama, gli uomini hanno sempre cucinato (dunque non è un fenomeno recente).
Va detto, però, che negli ultimi anni è cambiato il rapporto degli uomini e delle donne con la cucina: da quando lo si fa con cura (più raramente) e lo si fa per piacere, entrambi i generi cercano di accedere a questo piacere. Il problema è diventato quello del cibo quotidiano: chi lo prepara? E come riuscire a farlo con i tempi dannatamente contratti ? E dopo chi rigoverna?
La donna da domestica a imprenditrice, da chef a food blogger. Avendo studiato l’evoluzione della donna in cucina, cosa prevede per il futuro?
Non so bene cosa accadrà in futuro; posso però augurarmi che si parli meno e meno ossessivamente di cibo e ci si prenda il tempo, o ci sia concesso di avere il tempo, per avvicinarci al cibo anche quotidiano e – vorrei dire – soprattutto in maniera meno costruita e ossessiva come si fa oggi. Auguro alle donne di domani di trovare alimenti che abbiamo sapore e che non necessitino di sofisticate e lunghe preparazioni: penso a un prosciutto profumato e non salato, a un pane fragrante. Non importa disporre nelle nostre librerie di metri lineari di libri di ricette: basterebbe riuscire a procurarsi fragole gustose, asparagi di campo. So che non è poco e che non è facile ma so anche che se ne ricaverebbe gran piacere.