Negli ultimi anni, la Basilicata è diventata una delle mete preferite per tutti quei viaggiatori che cercano l’intima bellezza dei luoghi senza violarne la discrezione: uno di tali luoghi è senza dubbio il Vulture, ricco di straordinarie bellezze paesaggistiche quali boschi, sorgenti, torrenti sub-montani e ampie e verdi aree da pascolo. Qui, in questo tripudio di naturale bellezza, sorge una delle cantine più rinomate del Sud Italia, Cantine del Notaio.
L’azienda è stata fondata nel 1998 dall’agronomo Gerardo Giuratrabocchetti, il quale ha iniziato la sua carriera collaborando con l’Università degli Studi della Basilicata come ricercatore e professore, dando un grande contributo al mondo della ricerca in campo zootecnico, fra cui importanti pubblicazioni scientifiche di zootecnia e genetica molecolare.
A un certo punto della sua vita, Gerardo volta pagina e decide di prendere le redini della storica azienda di famiglia, sostenuto da familiari e professionisti del settore, in particolar modo da sua moglie Marcella Libutti e dal professor Luigi Moio dell’Università di Napoli, con cui all’epoca si è sviluppato un progetto di valorizzazione del vitigno Aglianico del Vulture e del suo territorio.
Costruito il suo team di lavoro, fonda così Cantine del Notaio, dove oggi prendono vita i suoi celebri e ricercati vini.
La sede della cantina è a Rionero in Vulture, in un antico palazzo ristrutturato in cui si trovano prestigiose e antiche grotte risalenti al Seicento, utilizzate come cantine di affinamento del vino.
Da quasi vent’anni, Cantine del Notaio produce vini di qualità ottenendo molteplici premi e, oltre al vino, l’azienda produce anche olio di oliva extravergine e grappa.
L’azienda è riuscita a imporsi sui mercati nazionali e internazionali grazie alla sua filosofia di lavoro, che si basa sull’innovazione e nello stesso tempo sulla tradizione; innovazione e tradizione, elementi che da sempre caratterizzano la vita del suo fondatore.
Intervistiamo Gerardo Giuratrabocchetti per conoscere meglio le Cantine del Notaio e il luogo che le ospitano.

Gerardo Giuratrabocchetti, fondatore di Cantine del Notaio
Salve, Gerardo. Raccontaci com’è nata l’attività imprenditoriale di Cantine del Notaio.
Avevo avuto in dote da mio nonno Gerardo la sua vigna perché unico nipote a chiamarsi come lui! Questa era stata la sua vita e, certamente, avrebbe desiderato che fosse seguita e lavorata con quell’impegno, quella passione e quell’amore che egli stesso aveva profuso in tutta la sua esistenza. Pur laureatomi in agraria, per varie vicende umane e professionali, mi sono dedicato a tante cose (credo anche con discreto successo) ma, in verità, non ho seguito granché quella vigna! Un giorno, però, in prossimità del compimento dei miei quarant’anni, non ricordo neanche per quale motivo, mi sono trovato a passeggiare tra i filari della vigna di mio nonno. Lì, non so spiegare come, mi sono sentito come rimproverare da mio nonno e la cosa fu talmente forte che ho pensato che avrei fatto ancora in tempo a impegnarmi per far nascere un nuovo progetto vitivinicolo partendo proprio da quella vigna, realizzando il suo sogno di veder prosperare la sua terra! Ne parlai con mia moglie e, insieme, decidemmo che sarebbe stato giusto partire con un nuovo progetto! Ho così “mollato” tutto quanto avevo realizzato fino a quel momento e, simbolicamente, abbiamo iscritto l’azienda all’ufficio IVA e alla Camera di Commercio proprio il giorno del mio quarantesimo compleanno: era il 5 ottobre del 1998. È nata in quel momento più che una nuova azienda, una mia nuova vita!
Perché il nome “Cantine del Notaio”?
Perché se è vero che mio nonno (un umile viticoltore) mi ha lasciato la sua terra, è pur vero che molto devo a mio padre, notaio, che mi ha sempre trasmesso valori umani e professionali che costituiscono il mio vero codice di vita. In più, mi sono sentito sempre in difficoltà per non aver voluto continuare la sua professione, forse anche temendo un confronto con un’immagine di mio padre considerato, giustamente, da tutti più che un notaio, il Notaio! Mi è sembrato giusto, dunque, dedicargli questa avventura professionale.
I vini sono la punta di diamante dell’azienda: qual è quello più venduto e richiesto dal mercato?
I nomi dei vini riprendono l’attività del Notaio: ci sono, dunque, Il Preliminare, Il Repertorio, La Raccolta, La Firma, Il Sigillo, La Stipula, Il Rogito, ma il più venduto è L’Atto.
La sua attività ha conquistato anche i mercati esteri. Quali? E quali risultati sono stati raggiunti?
Siamo presenti in vari paesi del mondo: dal Brasile al Messico, dagli USA al Canda, dall’Inghilterra alla Germania. La nostra presenza è nel centro europa (Svizzera, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Danimarca), ma anche Russia, Giappone, Australia, Singapore, Sud Corea.
Diamo un po’ di numeri: quante sono le bottiglie vendute ogni anno?
Vendiamo, ad oggi, oltre 230.000 bottiglie. Di queste, il 70% in Italia, il resto all’estero.
Per te, innovazione e tradizione sono aspetti correlati che viaggiano nella stessa direzione: qual è il filo conduttore?
Il bello è sempre quello di produrre e prodigarsi verso il futuro, ma mai dimenticando da dove siamo partiti, dalla nostra terra, dalle nostre tradizioni umane e professionali.
Attua analisi particolari sul terreno e/o sul vino per ottenere prodotti finali di eccellenza? Quali sono le innovazioni apportate al processo produttivo?
L’azienda, fin dalla sua nascita si è avvalsa di un proprio laboratorio di analisi al fine di monitorare costantemente la qualità dei processi di cantina e la qualità delle vigne da cui dipende la bontà e, soprattutto, la salvaguardia sanitaria delle uve, che rappresenta il principio cardine della qualità. Il primo aspetto della qualità consiste nella sanità delle uve e degli ambienti di lavorazione.
Oltre al rinomato vino, producete grappa e olio: come si inseriscono nel mercato questi prodotti? Riscuotono lo stesso successo del vino?
La produzione di grappa è un completamento di gamma, mentre la produzione di olio è una sorta di “provocazione”. Tani anni fa, con Luigi Veronelli si mise a punto un disciplinare volontario di produzione dell’olio extravergine monovarietale e denocciolato. Lo scopo era – ed è tuttora – quello di far conoscere le differenze tra le diverse varietà di olive che sono tipiche di ogni regione per esaltarne le caratteristiche e l’abbinamento con i piatti tipici regionali. Dopo la sua morte, con altri amici produttori, continuiamo questa importante battaglia di conoscenza e divulgazione del grande e straordinario patrimonio agricolo, ma anche culturale e paesaggistico, che è legato agli olivi, le olive e l’olio che si può ottenere.
Fra i prodotti della sua azienda, quale ritiene sia doveroso degustare?
Sinceramente, mi fa molto piacere far assaggiare i diversi vini, tutti prodotti con base di Aglianico del Vulture, per far comprendere le grandi potenzialità del vitigno e del territorio. Produciamo, con lo stesso vitigno, spumanti metodo classico e charmat, vino rosati e “rossati”, vini bianchi e rossi fino a una sorta di amarone, ma fatto con l’aglianico lasciato disidratare sulla pianta. Sono certo che, dopo l’assaggio dei vini, si scoprono le proprietà di un ambiente vulcanico (il Vulture) che, con la sua esplosione, ha prodotto ceneri (come avvenne per il Vesuvio e Pompei) che si sono depositate divenendo una roccia spugnosa, il tufo vulcanico: esso è capace di assorbire l’acqua in inverno per cederla d’estate quando non piove più. I contadini dicono che le grandi vigne hanno il tufo che allatta la pianta, cioè la madre terra non abbandona i suoi figli (le viti) e d’estate le nutre dal basso! Questo aspetto, associato alle calde e torride temperature estive, assieme alle grandi escursioni termiche, fa sì che il territorio renda veramente speciale la maturazione delle uve e costituisce il nostro segreto come quello degli altri ottimi produttori della zona.
Sottolineo che nel 2017, l’estate più calda e siccitosa che si ricordi, i viticoltori del Vulture non hanno fatto irrigazione nemmeno un giorno!

Vitigni di Cantine del Notaio, nel Vulture
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Direttamente e con i miei amici soci del consorzio di valorizzazione (Consorzio Qui Vulture), con l’Università, l’ALSIA, la Regione Basilicata stiamo attivamente lavorando al miglioramento genetico dell’Aglianico del Vulture con l’augurio di poter ottenere piante resistenti alle malattie (oggi è un vitigno molto sensibile alla peronospora e all’oidio) e con un ciclo più breve (oggi è il vitigno più tardivo nella raccolta potendosi vendemmiare anche a fine novembre, con gravi rischi climatici – neve, nebbie, grandine). In tal modo, si potrà sicuramente migliorare l’aspetto dei costi di produzione che sono, oggettivamente, tra i più alti in assoluto e a cui non corrisponde una remunerazione delle uve che ripaghi i grandi sforzi necessari per la produzione relativa. Un ettaro di Aglianico del Vulture produce un fatturato che è di 4-5 volte inferiore a quello dell’area del prosecco o del barolo, con costi di produzione nettamente superiori. Eppure facciamo lo stesso i viticoltori, così come gli altri colleghi del territorio, perché la passione è grande e l’amore per la nostra terra ci fa dimenticare tutti i sacrifici che giornalmente sono richiesti.